Paolo Taranto, raptorbiol@gmail.com
Introduzione
La falconeria viene da sempre definita come un'arte;
senza nulla togliere a questa definizione, da
biologo, preferirei definire la falconeria anche
come una scienza: scienza perché trattandosi di una
attività che ha a che fare con degli animali vivi,
non può fare a meno di basarsi sulla biologia delle
specie prese in considerazione (i rapaci). Senza una
approfondita conoscenza della biologia e
dell'etologia dei rapaci il falconiere non potrà
avere dei buoni risultati. Ciò vale in modo
particolare quando si parla di specie
particolarmente ostiche come il Falco pellegrino o
l'Astore e, soprattutto, quando il falconiere vuole
ottenere il massimo dal suo falco portandolo a
caccia di prede selvatiche nel loro ambiente
naturale. La caccia col Falco pellegrino è senza
dubbio una delle massime espressioni tecniche ed
estetiche della falconeria; portare un falco
pellegrino alla cattura di prede selvatiche nel loro
ambiente naturale è estremamente difficile ma quando
il falconiere riesce in questo intento può
sicuramente essere definito un Falconiere con la F
maiuscola.
La preparazione di un pellegrino alla caccia deve
per forza partire dalla sua bio-etologia. Per questo
motivo procederò anzitutto ad analizzare alcuni
aspetti biologici e comportamentali del pellegrino
in natura per poi applicarli alle tecniche di
addestramento in falconeria.
La bio-eco-etologia del falco pellegrino in natura
Il Falco pellegrino è una perfetta macchina da
caccia, che basa la sua sopravvivenza interamente
sulle sue capacità di catturare altri uccelli in
volo; per questo motivo esso possiede una lunga
serie di adattamenti al volo ad alta e altissima
velocità (ali lunghe, sottili e a punta, piumaggio
molto rigido, forma altamente aerodinamica,
mustacchio anti-riflesso, narice modificata ecc.) e
una serie di adattamenti per la cattura delle prede
in volo (dita molto lunghe, tarsi corti, carena
dello sterno molto robusta, doppia fovea negli occhi
ecc.). In genere l'attitudine predatoria è innata
nei predatori e nei rapaci (felini, canidi,
Falconiformi, Strigiformi ecc.) ma, quando la
specie, come nel caso del Pellegrino, deve adoperare
tecniche di volo e/o caccia complesse, le sole
informazioni innate (cioè contenute nel DNA) non
sono sufficienti a consentire una buona performance
predatoria (e dunque ad assicurare la sopravvivenza)
all'individuo, che quindi deve perfezionarle con
l'apprendimento per esperienza e per imitazione.
In natura i Pellegrini iniziano questa lunga strada
di apprendimento già dalle prime fasi di vita. Sin
dalla nascita infatti i genitori adottano una serie
di comportamenti mirati ad insegnare ai propri pulli
le tecniche di caccia e di volo. Già a partire dai
primi giorni di vita la dimensione e forma del cibo
che i genitori somministrano ai pulli cambia in base
alla loro età, secondo lo schema generale seguente:
a)
Primi 1-3 giorni di età:
in genere il genitore non imbecca i pulcini nelle
prime ore dopo la schiusa; successivamente e fino a
circa 2-3 giorni di età i bocconi di cibo usati per
imbeccare i pulli sono molto piccoli e formati solo
da carne netta del muscolo delle prede.
b)
Da 3-4 a 10 giorni di età:
nella settimana successiva la dimensione dei
pezzetti di cibo fornito dai genitori aumenta; il
cibo è ancora costituito solo da carne netta
(muscolo delle prede) senza ossa, intestini e penne.
c)
Da 11 a 21-22 giorni di età:
il genitore fornisce bocconi via via più grossi man
mano che i pulcini crescono, e può iniziare a dare
anche pezzi di cibo con frammenti di ossa, per
aiutare lo sviluppo delle ossa dei pulli che a
questa età è estremamente necessario.
d)
Da 23 a 30 giorni di età:
i genitori strappano pezzi più grossi dalle prede e
i pulli spesso strappano il cibo dal becco del
genitore e lo mangiano da soli, o almeno ci provano.
In questa fase inizialmente gli altri pulli possono
essere interessati al pezzo di cibo ottenuto dal
pullo che lo ha strappato dal becco del genitore, ma
non si crea mai competizione e quando il pullo col
cibo si isola, spesso solo girandosi dall'altra
parte, esso viene lasciato in pace. I bocconi di
cibo che il genitore dà ai pulli sono anche più
ricchi di ossa e con qualche piuma, così da aiutare
lo sviluppo scheletrico dei pulli e incoraggiare il
rigetto delle prime borre.
e)
31-42 giorni di età (involo):
in genere in questo periodo, che va dalla prima
settimana prima dell'involo fino all'involo stesso,
i pulli sono già diventati dei veri e propri Falchi,
abbastanza simili morfologicamente agli adulti; i
genitori portano prede spesso intere al nido, con
tutta la testa e il piumaggio; inizialmente sono i
genitori stessi ad occuparsi di spiumare la preda e
iniziare a romperla, il tutto davanti ai pulli, che
imparano per imitazione. Negli ultimi giorni invece
il genitore lascia direttamente le prede ai giovani
nel nido, i quali se ne alimenteranno autonomamente.
f)
Prima settimana dopo l'involo:
durante questo periodo i pulli vengono alimentati
con prede intere che il genitore porta, così come
avveniva nella prima settimana prima dell'involo.
g)
Seconda settimana dopo l'involo:
i genitori, soprattutto la femmina, si lascia
inseguire dai giovani affamati e in volo lancia loro
delle prede già uccise, facendo sì che i giovani le
ri-acchiappino in volo prima che le prede cadano a
terra.
h)
Dalla terza settimana dopo l'involo
all'indipendenza:
come ultima fase di addestramento il genitore,
catturata una preda, non la uccide subito, ma la
lancia tramortita e/o ferita ai giovani, che
intanto, visto arrivare il genitore in volo con la
preda, hanno iniziato ad inseguirlo per chiedere
cibo. Nelle ultime fasi di dipendenza dei giovani
dai genitori essi vanno a caccia insieme.
Da quanto appena detto si evince che i genitori
"addestrano" gradualmente i pulli già dalle prime
imbeccate passando da minuscoli pezzi di carne netta
nei primi giorni di età a bocconi via via più grossi
e con carne mista a penne e ossa nelle settimane
successive fino a fornire prede intere già uccise
prima e subito dopo l'involo e anche prede vive
nelle ultime fasi di dipendenza dei giovani dai
genitori dopo l'involo.
Fig. 10.1.a: Questo maschio di Pellegrino
urbano è appena arrivato al nido portando un
Verdone (Carduelis chloris) già
parzialmente spiumato e senza testa.
|
Fig. 10.1.b: Durante le prime 2 settimane è
quasi sempre il maschio che va a caccia e
porta il cibo, lasciando alla femmina il
compito di imbeccare i pulli.
|
Fig. 10.1.c: La femmina cerca di fornire la
stessa quantità di cibo a tutti i pulcini,
anche se alcuni sono più "insistenti" nel
richiedere cibo e altri si isolano durante
l'imbeccata. |
Una volta che i pulli sono cresciuti e si accingono
all'involo con l'abbandono del nido, i genitori
tentano di stimolarli lasciandoli per tutto il
giorno senza cibo, affamati, così da incoraggiarli a
lanciarsi in volo; in questi momenti i genitori
volano passando radenti al nido, facendosi vedere
dai giovani affamati così da incoraggiarli a
spiccare il volo.
Una volta che tutti i giovani hanno abbandonato il
nido e hanno fatto i primi voli, i genitori, dovendo
ancora nutrire i giovani cercano di farlo in maniera
utile e istruttiva. Abbiamo detto poc'anzi che i
genitori spesso si lasciano inseguire dai giovani di
proposito, mostrandosi in volo con una preda tra gli
artigli dopo averli fatti affamare; infatti gli
adulti, in questo periodo, tendono a stare lontani
dai giovani durante l'arco della giornata, anche per
evitare di essere attaccati violentemente dai
giovani che chiedono cibo. Fanno la loro ricomparsa
solo dopo alcune ore, quando i giovani hanno
raggiunto un livello di fame elevato. Le modalità
con cui i genitori dunque aiutano i giovani e
cercano di insegnare loro le tecniche di caccia e
volo sono molteplici ed in genere avvengono in una
successione graduale
1)
Imbeccata classica con prede intere:
avviene durante la prima settimana dopo l'involo; il
genitore raggiunge i giovani con una preda tra gli
artigli, quasi sempre intera, appena uccisa e col
piumaggio completo; a questo punto se gli altri
giovani sono sparsi nei posatoi limitrofi
raggiungono il genitore con la preda e vengono
imbeccati come avveniva nel nido nelle settimane
prima dell'involo
2)
Cessione di prede uccise dal genitore ai giovani:
già durante la prima settimana dall'involo e, in
genere, durante la seconda settimana, i genitori
continuano a lasciare i giovani senza cibo per gran
parte del giorno; dopo qualche ora di assenza
l'adulto ricompare con una preda tra gli artigli,
subito individuato dai giovani che, affamati,
iniziano ad inseguirlo, l'adulto si fa inseguire per
un po' prima di cedere la preda ai giovani che la
spiumeranno e la mangeranno in autonomia.
3)
Lancio della preda uccisa ("Dead prey dropping"):
già dalla seconda settimana i genitori non
consegnano direttamente le prede ai giovani, ma in
alcuni casi gliele lanciano dall'alto (Fig.
10.1.e); l'adulto arriva in volo molto alto vicino
alla zona del nido, e viene subito individuato dai
giovani che partono ad inseguirlo; il genitore si
mantiene in volo molto alto, guadagnando altezza
ogni volta che qualche giovane gli si avvicina
troppo e a questo punto lascia cadere la preda in
caduta libera verso il suolo, nella speranza che uno
dei giovani riesca ad afferrarla al volo prima che
cada a terra. In alcuni casi la preda finisce
effettivamente al suolo e mi è capitato di trovare
durante il periodo di addestramento numerose prede
integre, appena ferite e col collo spezzato nelle
vicinanze dei nidi sia su parete che in città.
Alcuni autori (Ratcliffe, 1993) riportano di avere
osservato anche genitori che lasciavano cadere ai
giovani in volo altri oggetti quali rametti o fili
d'erba, oltre che prede uccise.
4)
Lancio di prede vive ("Live prey dropping"):
verso la terza-quarta settimana dopo l'involo i
giovani hanno già preso gusto nel volo, hanno una
buona muscolatura e dominano sufficientemente bene
le loro strumentazioni di volo. I genitori in questo
periodo ogni tanto forniscono loro delle prede vive.
La metodologia è simile a quella appena descritta
del lancio delle prede uccise: il genitore arriva
nelle vicinanze del nido questa volta trasportando
una preda appena ferita o solo stordita che poi
lascia cadere in aria verso i giovani (Fig. 10.1.f).
5)
Caccia cooperativa facilitata:
come nei diversi comportamenti di volo dei giovani
(gioco in volo, gioco della caccia, falsi attacchi,
volo in termica) anche nelle tecniche usate dai
genitori esiste una continuità graduale. A volte non
è facile capire se il lancio di una preda viva da
parte del genitore ai giovani sia un lancio semplice
o sia frutto di una caccia cooperativa, che è la
fase finale di addestramento che i genitori fanno ai
giovani; dopo questa fase i giovani Pellegrini
prendono il "brevetto di volo" e la "licenza di
caccia" e potranno cacciare in autonomia,
guadagnando così l'indipendenza totale dai genitori.
Ho osservato in poche occasioni la caccia
cooperativa di adulti e giovani insieme, e anche le
osservazioni riportate in letteratura sono poche.
Questo ultimo livello di addestramento può avvenire
in diverse modalità (Fig. 10.1.d): a) il genitore
può eseguire dei voli per costringere le prede
(spesso piccioni) verso i giovani, catturandone una
e rilasciandola così ferita ai giovani per rendere
loro la cattura più facile. b) il genitore può
inseguire le prede (soprattutto giovani uccelli,
quindi più facili da catturare) ripetutamente e
adoperare tutta la sua maestria per demoralizzare,
spaventare e stancare le prede, in modo da renderle
più facilmente catturabili dai giovani oppure può
arrivare a ferirle direttamente.
6)
Caccia di gruppo ("Family hunting"):
è il livello massimo di addestramento, l'ultima
lezione prima dell'indipendenza dei giovani. La
caccia cooperativa (Fig. 10.1.g) consiste in battute
di caccia a cui partecipa parte o tutta la famiglia:
o solo un genitore e tutti i giovani, o solo un
genitore e alcuni giovani o entrambi i genitori e
uno, alcuni o tutti i giovani. I genitori durante
queste azioni di caccia cercano di aiutare il meno
possibile i giovani, per assicurarsi che abbiano
veramente imparato a cacciare da soli.
Dopo i suddetti livelli di addestramento i giovani
hanno imparato tutto ciò che c'era da imparare e
possono iniziare a cacciare da soli. Inizialmente i
giovani di una nidiata restano insieme (anche fino
all'autunno) e può capitare di osservare 2 o 3
giovani cacciare tutti insieme e dividersi
successivamente la preda.
Secondo alcuni autori (Nelson, 1970) i Pellegrini
possono apprendere le tecniche di caccia anche solo
"osservando" i genitori, che si danno da fare per
cacciare delle prede sotto gli occhi dei giovani
appositamente per questo motivo; questa è
sicuramente una tecnica di apprendimento, ma non è
sufficiente, secondo me, se non è accompagnata da un
esercizio pratico che consenta loro di fare
esperienza.
Fig. 10.1.d: La sequenza in alto mostra
il genitore che insegue una preda davanti al
giovane che segue dietro per mostrargli la
tattica di caccia. La sequenza sotto mostra
il genitore che ha appena ferito una preda,
lasciandola così catturare con più facilità
dal giovane. |
Fig. 10.1.e: Classica scena in cui un
genitore lascia cadere una preda morta
("Dead prey dropping") mentre è in volo, che
viene prontamente afferrata dal giovane
(modificato da Sherrod, 1983)
|
Fig. 10.1.f: Il passaggio successivo è il
rilascio da parte dell'adulto di una preda
ancora viva ai giovani in volo ("Live prey
dropping") (modificato da Sherrod, 1983).
|
Fig. 10.1.g: Infine, il massimo livello
di addestramento dei giovani viene raggiunto
quando essi praticano la caccia insieme ai
genitori ("Family hunting") (modificato da
Sherrod, 1983). |
Fig. 10.1.h: Il giovane raffigurato in
questo disegno scende in scivolata per
afferrare con gli artigli in volo la cima di
un albero; questo è un tipico atteggiamento
dei giovani, di caccia ad oggetti inanimati,
che fa parte del gioco e che consente loro
di sviluppare e perfezionare le proprie
abilità di volo e caccia aerea (modificato
da Sherrod, 1983). |
Fig. 10.1.i: Il giovane del disegno a
sinistra sta "spiumando" un ramo,
comportamento che rassomiglia e che, nel
gioco, prepara il giovane, al tipico
comportamento degli adulti che spiumano le
prede mentre sono in volo (disegno a destra)
(modificato da Sherrod, 1983).
|
Fig. 10.1.l: Il giovane Pellegrino
raffigurato in alto sta eseguendo una
manovra aerea, capovolgendosi per catturare
un grosso insetto; è tipico dei giovani
infatti, catturare e nutrirsi di grossi
insetti volanti durante la fase di
transizione verso l'indipendenza, poiché la
cattura degli Uccelli in volo risulta ancora
troppo difficile e ad alta percentuale di
fallimento; il disegno sotto invece illustra
un giovane che sta afferrando delle foglie
(o insetti) durante il volo (modificato da
Sherrod, 1983). |
Fig. 10.1.m: Questo giovane pellegrino sta
inseguendo e tentando di catturare una preda
molto più grande di lui (un Airone)
(modificato da Sherrod, 1983).
|
Applicazioni in falconeria
Abbiamo lasciato il discorso della bio-etologia del
Pellegrino in natura parlando di apprendimento per
imitazione. I falconieri hanno utilizzato a lungo
questa tecnica, come ci riporta Felix Rodriguez de
la Fuente nel suo famosissimo manuale "Altaneria".
In realtà nei giovani di pellegrino è molto più
importante l'apprendimento per esperienza personale
rispetto all'apprendimento per imitazione di un
falco più esperto (o dei genitori, in natura);
sicuramente il fatto che i genitori portino a caccia
i giovani "mostrando" loro come inseguono e
catturano le prede gioca un importante ruolo
nell'apprendimento, ma non è un fattore
fondamentale. A dimostrare il fatto che i giovani
possono apprendere la caccia anche da soli sono gli
studi su i giovani Pellegrini addestrati per la
falconeria o i giovani rilasciati durante i progetti
di reintroduzione con la tecnica dell'"Hacking";
questi Falchi non hanno avuto dei genitori che gli
insegnassero come cacciare, ma possono diventare
comunque degli ottimi cacciatori; ciò perché
l'istinto alla caccia è scritto nel DNA del
Pellegrino, e la semplice esperienza può permettere
di "estrarre" queste informazioni scritte
sinteticamente nel codice genetico e svilupparle
(una specie di "unzipping"); è però da evidenziare
il fatto che i giovani che imparano a cacciare da
soli, senza un modello o un falco esperto che faccia
loro da insegnante, impiegheranno molto più tempo
per apprendere le tecniche di caccia e avranno una
percentuale di mortalità in natura molto maggiore.
Nelle applicazioni in falconeria bisogna dunque
distinguere il ruolo che svolgono i genitori
nell'"addestramento" dei giovani in natura, dal
ruolo che i genitori stessi offrono come "modelli"
da imitare (apprendimento per imitazione). Il primo
ruolo è sicuramente il più importante e può essere
svolto dal falconiere da solo senza l'ausilio dei
falchi maestri, il secondo ruolo invece è molto meno
importante e richiederebbe dei falchi maestri (cioè
dei pellegrini già esperti che vengono fatti volare
insieme ai giovani così da consentire loro di
apprendere per imitazione); i pellegrini infatti,
come si è già spiegato, possono apprendere le
tecniche di caccia e di volo semplicemente con
l'esperienza e l'apprendimento per imitazione di
altri falchi esperti svolge un ruolo minimo.
Il punto chiave è quindi l'esperienza: un giovane
nato e cresciuto in natura può fare esperienza 24
ore su 24 mentre un giovane pellegrino da falconeria
viene fatto volare libero si e no un'ora al giorno
(due sessioni da mezzora) e non sempre ha
possibilità di inseguire/attaccare una preda viva.
Teoricamente, se il falconiere può dare al suo
giovane falco la possibilità di volare più volte al
giorno (2-3 sessioni da mezz'ora ciascuna) fornendo
ad ogni volo la possibilità di cacciare prede vive,
il giovane pellegrino da falconeria diverrà un
perfetto cacciatore quasi negli stessi tempi dei
giovani pellegrini nati e cresciuti in natura (da
due a quattro mesi circa).
L'addestramento per la falconeria di un giovane
Pellegrino deve avvenire in maniera graduale
esattamente come fanno i genitori in natura; quindi
il falconiere si sostituisce ai genitori. E' però
vero che i giovani Pellegrini da falconeria
impiegano un tempo più lungo prima di diventare
bravi cacciatori in grado di sopravvivere
autonomamente in natura; un Pellegrino nato in
cattività e addestrato per la falconeria sin dalla
tenera età potrà riuscire a raggiungere la stessa
bravura e percentuale di successo nella caccia di un
giovane della stessa età ma nato in natura e
addestrato dai suoi genitori in un tempo di
lunghezza proporzionale alla quantità di possibilità
di caccia che il falconiere riesce a dargli ogni
giorno; il giovane selvatico raggiunge questo
livello già entro l'autunno o, al massimo, durante
l'inverno, quindi solo a pochi mesi di età!
Regole fondamentali di addestramento dei giovani
falchi pellegrini nati in cattività alla caccia:
1)
Usare solo falchi giovani:
un buon addestramento deve partire sempre e
assolutamente di individui giovani, già dai a 40
giorni di età. E' infatti solo in giovane età che la
"mente" dei rapaci è ancora molto aperta e plastica
ed è quindi in grado di imparare rapidamente
dall'esperienza e dagli sbagli. Un pellegrino
addestrato alla caccia già da 40 giorni di età
imparerà molto di più e molto più rapidamente
rispetto ad un pellegrino adulto! (per approfondire
l'argomento dell'imprinting e delle capacità di
memorizzazione/apprendimento legate all'età si
consulti l'articolo dello stesso autore su questo
portale).
2)
Seguire una procedura graduale di introduzione alla
caccia "entering" simile a quella usata dai genitori
in natura:
Il falconiere deve iniziare a somministrare le prede
al giovane pellegrino in addestramento nella stessa
modalità con cui lo fanno i genitori in natura. È
importante utilizzare sempre la stessa preda, in
funzione di ciò che il falconiere vuole cacciare col
suo falco una volta pronto. Se si vuole cacciare
Germani reali, al giovane dovrebbe essere
somministrata come cibo già dall'inizio
dell'addestramento la carne di questa preda. Il
secondo stadio è fornire come cibo la preda morta
intera. Il terzo stadio, già durante la fase di
addestramento è permettere al giovane di catturare e
uccidere dei germani "facilitati" come farebbe il
genitore in natura: questo passo però può creare dei
problemi etico-morali e legali; sta al falconiere
decidere qual è il modo giusto per ottenere questo.
Infine, nel quarto stadio, si deve dare al falco la
possibilità di cacciare prede sempre più difficili,
ed in gran numero, fino ad arrivare alla cattura dei
selvatici nel loro ambiente naturale.
3)
Massimizzare l'esperienza del falco:
è già stato spiegato in precedenza quanto importante
sia l'esperienza per un giovane falco. Il falconiere
deve dare la possibilità al falco di cacciare prede
tutti i giorni, possibilmente più di una preda al
giorno; il falco dovrebbe essere fatto volare
durante l'addestramento tutti i giorni,
possibilmente due volte al giorno. Il periodo di
addestramento alla caccia non ha una durata
pre-determinata, terminerà quando il falco saprà
catturare agevolmente le prede selvatiche con una
buona percentuale di successo; i giovani pellegrini
in natura impiegano circa 2-4 mesi per arrivare a
questo livello.