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 Biologia della predazione

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By Paolo Taranto (raptorbiol@tiscali.it)

  Per apprezzare correttamente i falconi e la falconeria e per lavorare con gli uccelli in modo intelligente, è necessario possedere alcune nozioni di base sulla biologia della predazione e sui fattori evolutivi che hanno formato la natura dei predatori più elevati.

Vi è la tendenza generale, da parte di chi non è correttamente informato, a classificare tutti i carnivori, siano essi Rettili, Uccelli o Mammiferi come esseri pericolosi e aggressivi; è difficile capire perché una tale idea abbia così tanta diffusione anche tra le persone di un certo livello culturale; bisognerebbe intanto fare una piccola riflessione sugli animali casalinghi che tutti conosciamo come il gatto ed il cane, presenti quasi in tutte le case e coccolati dai padroni: sono anch’essi indiscutibilmente dei predatori! La natura tranquilla e affettuosa di questi animali verso i loro compagni umani è nota eppure il gattino dolce che fa le fusa o che sta appisolato sul cuscino ha una duplice personalità e può essere un “crudele” predatore di topi e uccelli; e così anche il cane che gioca con i bambini può essere un esperto e sanguinario cacciatore in branco in grado di abbattere animali molto più grandi di lui. Con questi animali familiari e domestici, questi modelli di comportamento complessi sono luoghi comuni al punto da essere dati per scontato; quello che invece non è ancora ben chiaro a molti è che queste stesse abitudini predatorie si sono sviluppate in quasi tutti gli animali predatori di un certo livello; si può infatti facilmente dimostrare che questa doppia natura, questa combinazione contraddittoria tra gentilezza e ferocia è assolutamente la norma ed è essenziale alla sopravvivenza di quasi tutte le specie.

Negli animali carnivori primitivi, fino al livello dei Rettili, la ferocia totale è biologicamente tollerabile, anche se pure in questi animali vi è un breve periodo nel loro ciclo vitale durante il corteggiamento e l’accoppiamento durante il quale essi tollerano la stretta vicinanza di esemplari della loro stessa specie. In genere le specie nelle quali una volta schiuse le uova i piccoli non richiedono cure o attenzioni da parte dei genitori, la natura del predatore può essere totalmente feroce e pericolosa. Ma nelle specie che devono invece prendersi cura della prole, c’è l’esigenza di sviluppare altre caratteristiche, tra cui un calo nella ferocia predatoria associato alla cura dei piccoli, momento nel quale, tale ferocia, che nei predatori del primo tipo, quelli meno evoluti, può portare all’uccisione della loro stessa prole per nutrimento, non ha invece ragione biologica per esistere.

 

Correlato allo sviluppo accennato sopra e legato ad esso, vi è un sorprendente aumento dell'intelligenza di base dell’animale, associato con una corrispondente complessità di comportamento. Gli adulti dei predatori più elevati, sia uccelli che mammiferi, sono riusciti a sviluppare una certa efficienza nell'assicurarsi il cibo, che spesso lascia loro molto tempo da dedicare a se stessi, soprattutto durante il periodo dell'anno nel quale non devono occuparsi dei piccoli. Le creature di alta energia e intelligenza sviluppano una notevole serie di attività che non sono strettamente legati ai modelli di comportamento basilare connessi alla nutrizione e alla riproduzione. Con i mammiferi molte di queste attività sono note e sono le diverse forme di gioco, le risse e lotte con altri ammali della loro specie e la caccia. Gli uccelli rapaci mostrano uno sviluppo ugualmente alto in questa direzione e sono state riferite molte attività di gioco sia nei rapaci diurni che nei notturni, ma è in questi ultimi che il gioco arriva ai massimi livelli tra gli uccelli: mentre i rapaci diurni giocano (interagendo tra loro o nei “giochi di predazione”) solo fino a un paio di mesi dopo l’involo, invece i rapaci notturni possono continuare a giocare anche da adulti. Sono stati osservati dei Pellegrini giocare con una piuma in aria, lasciarla andare e riprenderla diverse volte; oppure afferrano dei rami e delle pigne dalla cima degli alberi alti. Una volta è stato osservato un Pellegrino cacciare un coyote. Beebe ci racconta anche che sono stati visti dei Falchi della Prateria giocare con un escremento di mucca secco, colpendolo e por­tandolo in giro in un attacco scherzoso. Tutti i falchi più veloci si divertono a superare in volo e molestare i grandi uccelli che volano lentamente. Gli Smerigli giocano con le cornacchie facendo dei finti attacchi. I corvi spesso confrontano la loro abilità di volo con i Pellegrini o con le aquile in un gioco confuso in alto nell'aria.

 

Questi sono quindi gli aspetti non di caccia della maggior parte dei predatori più evoluti. Negli uccelli da preda, questo sviluppo in verità non è così avanzato come in certi mammiferi carnivori, specialmente quelli che hanno sviluppato un certo grado di comportamento sociale. I rapaci diurni comunque, diventano molto docili; mostrano sicure reazioni di aver riconosciuto certi individui e un particolare tipo di attaccamento al loro addestratore, accoppiato ad un forte attaccamento al territorio "di casa". Non sviluppano mai un'affezione servile per la compagnia umana che è invece così caratteristica del cane; la natura non sociale della loro evoluzione lo impedisce, così come impedisce a chiunque di addestrare questi uccelli con l'uso della forza, del dolore o della minaccia di forza. Essi mostrano piuttosto ciò che i falconieri scelgono di interpre­tare come "dignitosa" affezione per il loro addestratore, un distaccato disinteresse nei confronti di altre persone familiari, cani o oggetti, e diffidenza e timidezza verso chiunque e qualunque cosa sia estraneo.

 

Adesso, fatta questa sintetica introduzione, possiamo ritornare a parlare della predazione e dei nostri “affettuosi” animali domestici, il cane ed il gatto: ciò che li accomuna e che ne dimostra le attitudini predatorie come tutti gli altri “predatori selvaggi” è il fatto che essi indipendentemente da quanto abbiano mangiato, amano decisamente cacciare e, se sarà data loro la possibilità di farlo, cacceranno ed uccideranno per ragioni che naturalmente non hanno nulla a che fare con la fame. Vari studi hanno dimostrato che l’eccitazione per la caccia e quindi per l’uccisione è stimolata da alcuni fattori input, variabili da predatori a predatori: per esempio l’odore, la vista di alcune cose e non altre, i movimenti etc. Inoltre, Beebe ci conferma che il predatore impegnato a  uccidere una preda non per fame, non opera in maniera “feroce”, non uccide nella furia del combattimento, ma piuttosto con uno spirito di fine eccitazione; questa gioia nella caccia, così facilmente osservabile nel cane e nel gatto, è caratteristica di tutti i predatori più elevati, compresi i rapaci.

Molto probabilmente, la ragione di questo desiderio e volontà di catturare e uccidere prede oltre i loro bisogni, si collega alla cura della prole, perché i genitori di tutti i predatori più elevati devono cacciare e uccidere più dei loro bisogni indipendentemente dalla loro fame, per nutrire la prole. Questo modello, una volta sviluppatosi, non si arresta con la cessazione delle responsabilità familiari.

Questo modello quindi è la base fondamentale della falconeria e della caccia con i rapaci addestrati: l’addestramento di tutti i migliori rapaci da falconeria si basa più sullo stimolo della loro voglia di volare e di cacciare che sulla fame!!! Come un gatto domestico, in modo naturale e senza alcuna istruzione da parte dei genitori, inizierà a cacciare topi e piccoli uccelli anche quando non ha fame, così anche la maggior parte degli altri predatori evoluti, tra cui i rapaci, tenderà a concentrare questo istinto predatorio e di uccisione su una gamma di specie relativamente stretta ed essi uccideranno queste specie come prede “naturali” quasi ad ogni occasione che gli si presenterà.

 

 

 

Quanto appena detto riassume praticamente la vera natura della predazione: i predatori affamati cacciano, cioè cercano attivamente le creature delle quali sono abituati a nutrirsi ogni volta che hanno fame; il predatore molto affamato sprecherà molta energia nel tentativo di uccidere una preda “naturale” e, se fallirà, potrà attaccare qualche altra specie preda che normalmente non viene attaccata: per questo i predatori che muoiono di fame possono diventare veramente feroci e pronti ad attaccare per uccidere qualsiasi essere vivente, anche se questo potrebbe essere a sua volta in grado di ucciderli o ferirli gravemente.

La fame quindi è l’elemento che guida il predatore a sforzarsi al massimo; ma i predatori cercano di sfruttare al meglio tutte le occasioni possibili che possono capitare loro per tenersi in buone condizioni fisiche e ben alimentati senza sforzarsi al massimo e senza disperarsi o rischiare con prede sovradimensionate e non “naturali”. I predatori non sempre uccidono a piacimento in qualunque modo, qualunque preda, anzi, generalmente avviene sempre l’opposto! Vi è un altissimo grado di selettività nel loro comportamento di caccia. I predatori infatti di solito selezionano le prede per loro più facili, che corrispondono quasi sempre ad individui malati, più deboli, malformati etc. Essi dunque operano una “selezione naturale” e, anzi, ne sono il cuore! I predatori sono tra i principali artefici, se non i primari, della selezione naturale Darwiniana. Sebbene in modo un po’ più artificiale anche la caccia con i rapaci da falconeria è una continuazione di questo processo di selezione: non è infatti il falconiere che seleziona la preda ma il rapace, nella maggioranza dei casi! Spesso succede infatti che il falconiere si chieda come mai quel suo falco, così esperto, così perfetto, così micidiale e così bene allenato, abbia mancato una preda, non sia riuscito a catturarla o addirittura non abbia neanche tentato l’attacco: la risposta sta nel concetto espresso in precedenza, la “selettività” dei predatori e la selezione naturale: se il falco perfetto lanciato dal falconiere non è riuscito a catturare la preda pur avendoci provato con tutte le sue forze è perché esso ha attaccato l’unica preda che il falconiere ha fatto involare ma era una preda perfettamente sana ed esperta, matura e in grado di attuare le adeguate strategie antipredatorie, in salute e quindi velocissima ed agilissima; il falco in questo caso ha attaccato una preda che in natura non avrebbe mai attaccato e infatti non ha avuto successo. Se invece il falco perfetto lanciato dal falconiere non ha neanche tentato portare avanti un attacco alla preda ciò molto probabilmente è stato dovuto al fatto che il falco stesso ha riconosciuto quella preda troppo difficile.

I predatori possiedono una specie di “sesto senso” che permette loro di “vedere” delle caratteristiche delle prede, invisibili all’occhio umano: il predatore riesce a distinguere anche a centinaia di metri di distanza se una preda può essere potenziale o difficile da catturare, essi riescono a percepire se quella preda è malata, ferita, malformata, debole, inesperta oppure no e quindi decidono se attaccare o meno.

Questo si verifica anche in falconeria soprattutto quando durante l’azione di caccia il rapace ha la possibilità di scegliere una preda: si pensi alla caccia alle anatre con il Falco pellegrino, durante la quale mentre il falco si trova in alto volo di ricerca centrato ad altezza di caccia sul falconiere, quest’ultimo fa involare delle anatre da un canale; il falco sceglierà di attaccare una determinata anatra e non un’altra grazie al suo “sesto senso”; esso analizzerà uno ad uno gli individui che si sono involati e tra essi individuerà quello più adatto ad essere attaccato; su un branco di anatre per esempio sceglierà quello che è rimasto più indietro dal gruppo per esempio.

Il concetto importante è che, a differenza della caccia col fucile, la falconeria mantiene la selezione naturale, sebbene in maniera leggermente artificiale.

 

Legato all’istinto della caccia vi è l’istinto ad uccidere. Nei predatori primitivi, come si è detto, l’atto di uccidere e di mangiare sono collegati, e avvengono spesso simultaneamente. Nei predatori superiori invece le due azioni diventano meno strettamente associate e addirittura, a volte, esse sono del tutto separate. Per fare un esempio, queste due azioni sono staccate soprattutto quando il predatore deve nutrire la prole: esso caccia e uccide non per fame ma per istinto materno/paterno di allevamento della prole. Altro esempio è quello delle dispense alimentari: ho avuto personalmente modo di osservare per anni il comportamento dei Falchi pellegrini in natura, e ho notato quanto sia comune tra questi predatori l’uso delle dispense alimentari, soprattutto nel periodo riproduttivo ma anche nel resto dell’anno; il Pellegrino uccide tutte le prede che ritiene facili da catturare (prede sub-standard: uccelli malati, feriti, malformati, deboli, giovani etc.) anche se non ha fame e le trasporta, immagazzinandole, in una nicchia di solito vicina al nido, sulla parete rocciosa, utilizzandole per alimentarsi quando ne ha bisogno; questo indica e conferma che il Pellegrino può cacciare anche se non è affamato e anche se non deve allevare la prole.

Tutti i predatori superiori amano cacciare e ancor più amano l’eccitazione associata all’esperienza della caccia e dell’uccisione di una preda, è una cosa naturale, istintiva, scritta nel loro DNA. Se un predatore ne ha l’opportunità, una volta eccitato, esso ucciderà ripetutamente in una sorta di “insaziabile desiderio di sangue” e gli esempi in questo caso sono molteplici: le faine, i visoni, le donnole e i furetti sono i più noti in questo comportamento che è comune a moltissimi altri predatori (per esempio un branco di lupi che aggredisce un branco di pecore) e tra i rapaci stessi (Sparvieri che hanno ucciso sia in natura che in falconeria ripetutamente fino a oltre 10 prede nel giro di poche ore, Pellegrini che hanno catturato e ucciso fino a 5 anatre in una sola battuta di caccia etc.).

Ed infatti, uno dei problemi più difficili della falconeria sorge proprio da questa brama di uccidere da parte dei rapaci, brama che è indipendente dalla fame: se l’atto della caccia e dell’uccisione fosse collegato strettamente alla fame e alla nutrizione, i rapaci potrebbero essere controllati molto più facilmente di quanto non avvenga in realtà! Il fatto è che un rapace da falconeria una volta introdotto alla caccia, dopo aver compiuto alcune uccisioni, trova questa esperienza così gratificante ed eccitante che inizierà a predare e cacciare a prescindere dall’esigenza della nutrizione e diventa un comportamento fine a se stesso, attuato solo in base al suo istinto. Dunque questo scollegamento tra istinto predatorio e fame rappresenta un’arma a doppio taglio per i falconieri: da un lato il rapace è più difficile da controllare, dall’altro lato, come detto in precedenza, si può sfruttare questa separazione tra i due comportamenti per tenere un rapace perfettamente allenato e muscolato e portarlo a caccia senza esagerare con il controllo del peso e della fame.

 

Difese antipredatorie delle prede

 

Prima di chiudere questo paragrafo sulla biologia della predazione bisogna affrontare ancora un ulteriore argomento: la difesa delle prede. Tutte le specie abituate ad essere tipiche prede dei predatori hanno evoluto in milioni di anni delle adeguate strategie anti-predatorie per difendersi. Anche molte tra le tipiche prede del falconiere possiedono queste strategie: è dunque fondamentale che sia il rapace da falconeria sia il falconiere conoscano tali strategie ed operino al fine di superarle. Nel caso particolare dei rapaci addestrati per loro risulta fondamentale l’esperienza al fine di apprendere quali strategie di difesa antipredatoria usano le prede e come aggirarle.

Questo manuale sintetico non permette di dilungarsi a descrivere nei dettagli tutte le strategie delle prede e le relative strategie del falconiere per catturarle. Ci limiteremo a dare semplicemente alcuni esempi ed una breve sintesi di questo importantissimo argomento.

 

 

 

Specie preda

 

Tecnica anti-predatoria

Piccione

Anatomia alare simile al Pellegrino, volo veloce e agile. Volo in gruppo con altri conspecifici per distrarre il predatore. Ricerca di un rifugio su anfratti ed edifici. Piumaggio facilmente staccabile, se “afferrato”

Anatidi

Volo molto veloce. Si nascondono subito in acqua o tra la vegetazione. Se sono sul terreno si schiacciano al suolo, nascondendosi e restando riluttanti ad involarsi.

Storni

Si muovono in stormi a volte numerosissimi; con volo sincronizzato sembrano un solo unico individuo che spesso “si lancia” direttamente contro il predatore, allontanandolo

Rondone

Volo velocissimo ed estremamente agile.

Galliformi (starna, pernice, fagiano ecc.)

Si schiacciano sul terreno “congelandosi”; sono riluttanti ad involarsi, preferiscono muoversi a piedi tra la vegetazione per sfuggire al predatore.

 

Tab. 4.0.a: Tecniche anti-predatorie delle principali specie di preda del Pellegrino.

 

 Una delle tecniche anti-predatorie più comuni e probabilmente più efficaci adottata dagli uccelli nei confronti dei predatori è quella di riunirsi in gruppo o in stormi più o meno numerosi: quando viene attaccato lo stormo serra le fila e vola in formazione compatta cercando di restare sempre al di sopra del Falco o fuori dalla sua rotta; ciò che ne scaturisce è un insieme di disegni animati in cielo particolarmente affascinanti, gli uccelli volano con una incredibile sincronia, formando un unico grande individuo che si muove sinuoso schiacciandosi nelle zone in cui il Falco attacca o allargandosi nelle altre zone. Questa tecnica è usata spessissimo dagli storni ma anche molti altri uccelli adottano questa tecnica di difesa anti-predatoria: Piovanelli e altri piccoli Limicoli, Gabbiani, Rondini di mare, piccioni, Corvi, Cornacchie e piccoli Passeriformi gregari. Spesso i Pellegrini seguono questi stormi manovrando intorno e compiendo picchiate esplorative o finti attacchi con l’evidente scopo di costringere un singolo individuo ad uscire dalla formazione compatta, perché il Pellegrino evita di scagliarsi direttamente contro la parte compatta dello stormo: questa è la cosiddetta tecnica dello “Shepherding” o del “cane da pastore” descritta precedentemente.

Spesso inoltre le prede restano sempre vigili o, a turno, utilizzano delle “sentinelle”, che, mentre il resto del gruppo è distratto da altre attività, restano vigili per individuare eventuali predatori e comunicare attraverso apposite grida di allarme a tutto il resto del gruppo il pericolo incombente. L’avvicinarsi di un Pellegrino dunque provoca delle reazioni anti-predatorie associate spesso a grida di allarme delle prede. Dunque un Pellegrino crea un notevole scompiglio quando si avvicina, in caccia, ad un ambiente; è il caso di un Pellegrino che caccia in una zona umida o in città. Spesse volte mi è capitato di osservare le reazioni delle varie prede all’avvicinarsi di un Pellegrino in caccia: nelle zone umide lo scompiglio è totale, i Limicoli si involano in folti branchi allo scopo di distrarre il predatore, sfruttando anche la loro velocità e agilità, le Anatre, le Folaghe e le Gallinelle restano in acqua e tentano di raggiungere la vegetazione per nascondersi, i Cavalieri si involano lanciando grida di allarme, i piccoli Passeriformi si nascondono anch’essi nel fitto della vegetazione e i Fagiani si schiacciano sul suolo congelandosi e sfruttando il loro mimetismo.

Le prede sanno distinguere perfettamente la sagoma di un predatore e di conseguenza reagiscono: anche in questo caso esse hanno una specie di “sesto senso” che consente loro di “vedere” delle caratteristiche che il nostro occhio umano non percepisce nell’identificare un predatore e, secondo alcuni studi, anche nel capire quali sono le sue intenzioni (se è un rapace in caccia o di passaggio per esempio). Questa loro capacità è molto fine e ciò viene dimostrato per esempio dai limicoli nelle zone umide: se passa un gabbiano, che ha la forma delle ali e del corpo simile al Falco pellegrino, essi sono perfettamente in grado di distinguerlo e resteranno tranquilli, mentre se passa un Falco pellegrino essi fuggiranno.

Le reazioni delle prede inoltre differiscono in base al predatore: una stessa specie preda può reagire in modi diversi in funzione del tipo di predatore. Per esempio i Piccioni reagiscono rifugiandosi tra la vegetazione se arriva un predatore come il  Falco pellegrino, mentre si alzeranno in volo altissimo se il predatore è un Accipiter (Astòre o Sparviere).

Le specie invece che normalmente non costituiscono cibo per i predatori reagiscono al predatore in modo molto diverso. I gabbiani, i corvi, le cornacchie, i cormorani, le oche e altre specie grandi è forti di solito prestano poca attenzione alla presenza di un falcone, o di un Astòre e anche di un’Aquila: al limite ne controllano gli spostamenti. Solo quando un attacco viene realmente compiuto su di loro mostrano un vero allarme, ma anche allora spesso sembrano più sorpresi e arrabbiati che spaventati. Anche quando sono del tutto consapevoli che la presenza del predatore significa guai, solitamente mantengono il sangue freddo: non si lasciano prendere dal panico e di solito riescono a schivare ripetuti attacchi. Gridano e strillano per chiedere aiuto da altri della loro specie finché non vengono effettivamente catturati; e anche allora non cedono ma continuano a combattere e a chiedere aiuto finché non sono uccisi, non riescono a liberarsi o non ottengono aiuto dagli altri. Reagendo in questo modo, non sorprende che di solito siano prede poco considerate dai predatori ed infatti, generalmente, non rientrano tra le “prede naturali”.

 

Ma queste differenze nelle reazioni ai predatori non costituiscano l'intero qua­dro, perché non vi e uccello più difficile da catturare e, una volta catturato, più difficile da tenere, di un grande fagiano maschio eppure, qualunque grande falco da caccia inseguirà un fagiano con grandissimo entusiasmo e lo preferirà a qualunque altra preda. Il sapore gradevole del fagiano è stato suggerito come una ragione per spiegare questo fatto, ed è vero che certi esperimenti indicano che i falchi, avendo la possibilità di scegliere fra un insieme di uccelli appena uccisi e sistemati davanti a loro, quali piccioni, cornacchie, anatre, fagiani e tetraonidi, quasi sempre sceglieranno il fagiano o il tetraonide.

I Pellegrini che vivono in zone nelle quali scarseggia selvaggina di qualità migliore, possono iniziare a nutrirsi in gran parte di gabbiani o addirittura di cornacchie. Vi è anche l'eccezione del soggetto di qualsiasi predatore che, probabilmente per caso, elabora delle tecniche speciali per catturare e uccidere alcune prede localmente abbondanti che normalmente non vengono catturate. Vengono in mente, per esempio, i "mangiatori di uomini" tra i grandi felini; i rapaci possono talvolta diventare predatori di polli e galline domestiche; altri esempi che si possono citare sono il Gufo reale che inizia a uccidere moffette o gatti domestici e il Pellegrino che impara a uccidere i gabbiani reali. Tali soggetti sono spesso di aspetto rozzo e grossolano, sono sporchi e con le penne in cattivo stato, sia nelle ali che, soprat­tutto, nella coda, a causa di molte lotte violente. Si sa che tali soggetti nei mammiferi sono spesso molto vecchi o presentano imperfezioni fisiche che in certo modo agiscono come handicap alla velocità o coordinazione necessarie a catturare le loro prede abituali. Potrebbe essere la stessa situazione anche nei rapaci.

Nella falconeria, talvolta è vantaggio del falconiere incoraggiare o addirittura istigare questi tratti aberranti. Si può far volare il falco su cornacchie perché verrà aiutato nei momenti più duri dal tempestivo intervento del falconiere; inoltre non si nutre della carne poco gradevole di tale grande preda ma il falconiere gli offre del cibo migliore. Gli uccelli addestrati possono perciò, con un po' di incoraggiamento, catturare prede più grandi e più forti di quelle normalmente catturate in natura: ben presto apprezzano ciò e si possono mantenere in perfette condizioni di piume e di salute senza avere nessuno dei cattivi effetti che lo stesso comportamento produce sui loro conspecifici selvatici.

 

Per un rapace selvatico i vantaggi della cattura di prede di piccola dimensione supera di gran lunga l'unico svantag­gio rappresentato dal fatto che esse di regola sono molto più difficili da catturare: sono di solito più numerose e offrono quindi più opportunità; non combattono e si possono trasportare in un posto sicuro per mangiarle; se prese sull'acqua, possono essere trasportate a riva.

Tutte queste sono considerazioni importanti che rapidamente fanno si che gli adulti siano molto più consapevoli dei vantaggi delle piccole prede rispetto ai rapaci giovani, che, per gioco e per fare esperienza sono invece più portati ad attaccare e catturare prede più grosse e combattive. Ciò è di speciale interesse per il falconiere, soprattutto come ottimo motivo per preferire un falco giovane

piuttosto che uno adulto quando vuole praticare determinati tipi di caccia (ai Corvidi, per esempio). In falconeria, la ragione iniziale per catturare prede grandi (si catturano più facilmente) si può facilmente fissare, semplicemente minimizzando gli svantaggi che incontrerebbero i rapaci selvatici, in modo da condizionare i nostri rapaci a catturare solo la selvaggina più grande e a non prestare la minima attenzione agli uccelli piccoli.

 

 

 

 

Testi e foto © by Hyerax (hyerax@gmail.com) e www.falconeria.info

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